Il discrimen tra le sfere di cognizione del Giudice del lavoro e del Giudice fallimentare non può che essere individuato nel rispetto delle rispettive speciali prerogative: di giudice del rapporto il primo e di giudice del concorso il secondo (Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363; Cass. 30 marzo 2018, n. 7990).
Sicché, al Giudice del lavoro spetta la cognizione di ogni controversia avente ad oggetto lo status del lavoratore, essenzialmente radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost., in riferimento al diritto ad una legittima e regolare instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto e alla sua corretta qualificazione e qualità. E ciò per effetto dell’esercizio di azioni sia di accertamento mero, come in particolare di esistenza del rapporto di lavoro (Cass. 30 marzo 1994, n. 3151; Cass. 18 agosto 1999, n. 8708; Cass. 18 giugno 2004, n. 11439) o di riconoscimento della qualifica della prestazione (Cass. 20 agosto 2009, n. 18557; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23418), ovvero di azioni costitutive, principalmente di impugnazione del licenziamento (Cass. 2 febbraio 2010, n. 2411), anche quando siano comprensive di una domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4051; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4547; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308), pure conseguente all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646).
Al Giudice fallimentare sono invece riservati l’accertamento e la qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso.
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